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La città è posta ad un'altitudine di 500 mt. s.l.m.. Fin dalle origini, venne edificata ai piedi del Monte Ingino, in una posizione adatta a controllare il luogo in cui il Camignano, (principale corso d'acqua cittadino) confluiva nell'ampia piana solcata dai torrenti S. Donato, Saonda ed Assino. La pianura che collega Gubbio a Città di Castello e, in direzione opposta, a Gualdo Tadino, si estende al centro di un territorio quasi completamente collinare, delimitato ad ovest ed a sud-est rispettivamente dalle Valli del Tevere e del Chiascio, ed a nord-est dalla Via Flaminia. La città è stata inclusa nella Regione Umbria solo con l'unità nazionale, dopo essere stata compresa per quasi cinque secoli nell'Urbinate.
L'economia della città, in base alla tipologia delle attività presenti, può dirsi prevalentemente fondata sui servizi; sono attivi sul suo territorio oltre 1.500 operatori economici su una popolazione di 30.924 unità (dati Cens.to '91). Significative notizie sulla città umbra possono essere desunte dalle Tavole Eugubine: si tratta di sette tavole bronzee, incise su entrambi i lati parte in caratteri umbri e parte in caratteri latini; rinvenute nel 1444 in un sotterraneo del Teatro Romano, recano accurate descrizioni delle principali cerimonie ikuvine: l'Espiazione e la Lustrazione. Dalle numerose indicazioni topografiche contenute nelle Tavole si evince che gli elementi costitutivi del primo insediamento erano l'Arce Fisia e la Tota (città) ikuvina. La prima, dotata di un tempio per l'osservazione degli uccelli, dominava visivamente tutta la città e buona parte della pianura; la seconda, edificata poco più in basso, era protetta da una cinta muraria dotata di tre Porte (Trebulana, Tessenaca e Vehia). Di esse, l'ultima è stata attendibilmente identificata con la Porta in opera poligonale, ubicata di fronte alla chiesa di San Marziale; resti attribuibili alla seconda sono stati identificati nel sotterraneo di un locale prossimo alla chiesa di San Giuliano. Molto verosimile è dunque l'ipotesi che un tratto delle mura (la cosiddetta Cinta Umbra) seguisse il tracciato dell'attuale Via dei Consoli - Via XX Settembre, collegando le Porte Vehia e Tessenaca. Le prime fasi del processo di romanizzazione non produssero gravi fratture all'interno della civitas; le stesse tavole "latine" testimoniano della permanenza nel nuovo contesto politico-amministrativo degli antichi rituali umbri. Una netta soluzione di tale sviluppo dovette invece verificarsi attorno alla seconda metà del I secolo a.C., quando venne realizzato, nell'area circostante il Teatro Romano, un nuovo insediamento dotato di basiliche e di un tempio dedicato a Diana.
Da un'epigrafe del I secolo d.C., conservata nel Palazzo dei Consoli, si apprende che il completamento delle basiliche, e quindi la definizione del nuovo intervento, venne realizzato dal Magistrato romano Gneo Satrio Rufo in memoria del trionfo di Augusto. Il limite meridionale dell'insediamento era probabilmente indicato dal cosiddetto Muro del Vallo, recentemente rinvenuto a sud del teatro e del Mausoleo. Con la decadenza dell'Impero la nuova città, sprovvista di fortificazioni, si rivelò insicura e venne abbandonata. L'abitato si contrasse verso le pendici del Monte Ingino, occupando l'area compresa fra il Torrente Camignano e la Cinta Umbra. Centro ideale di questo primo nucleo medioevale era la Cattedrale, dedicata a San Mariano, che probabilmente occupava l'area dell'attuale chiesa di San Giovanni. Un secondo nucleo medioevale è chiaramente identificabile nella parte superiore del quartiere San Martino, in cui la particolare conformazione in curva delle strade principali, come la diffusa tipologia delle case-torri, denotano la presenza di una consistente componente feudale. Può ritenersi che la costruzione di questa parte della città risalga alla decisione di alcuni nobili eugubini (riferita in una cronaca tardomedievale) di far rinascere la città, che nel 917 era stata rasa al suolo dagli Ungari. Il naturale asse di espansione di tale insediamento va individuato nel tratto iniziale dell'attuale Via dei Consoli (fra il ponte sul Camignano e la Piazzetta del Bargello), dove si rileva l'esistenza di tipologie edilizie assimilabili ai modelli del quartiere di S. Martino. In questi due principali nuclei urbani (l'uno a base aristocratica, l'altro ecclesiastico-popolare) fino alla metà del XII secolo era compreso quasi tutto l'abitato. Va comunque ricordato che l'area insediativa della civitas eugubina in senso lato era molto più vasta e comprendeva, a monte dell'asse di Via dei Consoli-XX Settembre, i resti della città umbra; in prossimità della Porta Vehia, la Chiesa di S. Andrea (l'attuale S. Marziale); nella zona sud-orientale, il Monastero di San Pietro, uno dei più antichi edifici religiosi eugubini. Il successivo sviluppo della città interessa le aree ubicate a monte della linea fortificata umbra di Via dei Consoli - Via XX Settembre. Il luogo più rappresentativo (quindi il più alto), era occupato dal primo complesso monumentale della città comunale, costituito dalla nuova Cattedrale, dal Palatium Communis (in luogo dell'attuale Palazzo Ducale) e da un'ampia piazza che occupava tutto lo spazio compreso fra le varie fabbriche. L'opera, iniziata durante gli ultimi anni del vescovado di S. Ubaldo (Patrono della città), può ritenersi compiuta, almeno nelle sue linee essenziali, nel corso dell'ultimo ventennio del secolo XIII. Questo intervento costituì un fondamentale punto di riferimento per l'intera civitas e pose le premesse per un superamento della parziale autonomia degli elementi che la componevano. Nella prima metà del Duecento si verificò una nuova fase di espansione verso il piano, che produsse la completa urbanizzazione della zona sud-orientale della città; presumibilmente già negli anni Venti del secolo, venne pianificato, e in breve realizzato, il quartiere di San Pietro, nello stesso periodo in cui, a conclusione di un'ardita opera di espansione territoriale verso la Marca, il Comune s'impegnava nella fondazione di Pergola.
Le zone periferiche della città vennero occupate dagli edifici monastici degli ordini mendicanti: a meridione, a diretto contatto con il Campus Mercatalis, la Chiesa e relativo Convento di San Francesco; ad occidente ed a oriente, rispettivamente quelle di S. Martino (attuale S. Domenico) e di S. Agostino. Nei decenni successivi l'intera area urbana, suddivisa nei quartieri di S. Martino, S. Andrea, S. Pietro e S. Giuliano, venne interamente compresa entro un'unica cinta muraria che raccordava (o racchiudeva al suo interno), le opere fortificatorie di cui precedentemente era dotata ognuna delle principali parti della città,
L'esigenza da parte del Comune di occupare il centro reale dell'area compresa all'interno delle nuove mura è chiaramente espressa nella Delibera di costruzione di nuovi palazzi pubblici (1321): in essa veniva stabilito che le nuove opere fossero realizzate in locis que tangant omnia quarteria. In tal modo, il concetto di centro (politico, amministrativo, monumentale) trova una concreta definizione come luogo pertinente di tutte le componenti della civitas e, quindi, da esse equidistante sia planimetricamente che idealmente. Con la costruzione del Palazzo dei Consoli, di quello del Podestà e della Piazza Pensile, in un'area che fungeva da elemento di separazione dei quartieri, la città trovò una sua completa definizione, pienamente espressiva della supremazia dell'Autorità Comunale. Non a caso la sospensione della costruzione dei palazzi e della piazza coincide proprio con la fine dell'autonomia comunale, provocata prima dalla presa del potere da parte di Giovanni Gabrielli (1350), poi dalla sottomissione della città ad Antonio da Montefeltro (1384). In campo artistico, si assiste alla formazione, col miniatore Oderisi (celebrato da Dante), di una locale scuola pittorica che si sarebbe rivelata particolarmente vitale tra il '300 ed il '400, con il Palmerucci e con i Nelli. Tra questi ultimi in particolare si ricordi Ottaviano, esponente di spicco del gotico internazionale in Umbria. Con Matteo Gattapone si afferma inoltre una delle personalità più vigorose dell'architettura del '300. Nello stesso Trecento ha radici la ceramica, che più tardi, nel primo Cinquecento, dopo l'arrivo di Giorgio Andreoli da Intra, detto Maestro Giorgio, avrebbe raggiunto alti livelli artistici, affermandosi in città ed alimentando fino ai giorni nostri un fiorente artigianato. La più significativa realizzazione architettonica del periodo di Signoria dei Montefeltro della Rovere fu la costruzione (iniziata sotto Federico II dopo il 147O) del Palazzo Ducale. Il nuovo edificio, costituito essenzialmente da due corpi di fabbrica raccordati da un cortile, ingloba totalmente le strutture dell'antico Palatium Communis e parte di quelle della Platea: segno dell'affermazione di una diversa concezione della città, all'interno della quale veniva progressivamente smantellata l'autonomia e l'autorità delle magistrature comunali. Nei due secoli successivi, caratterizzati da un costante decremento demografico, il modello prevalente di intervento sulla città consiste nell'accorpamento di modeste fabbriche medievali in edifici di maggiori dimensioni, assimilabili al modello tipologico del palazzo. E' facile verificare come in queste nuove costruzioni si diffondano gli elementi decorativi (cornici, mostre, capitelli ecc.), le tecniche costruttive e i materiali (intonaci, mattoni, pietra serena) che caratterizzano l'architettura del Palazzo Ducale. Con l'inclusione del Ducato di Urbino e quindi di Gubbio nello Stato Pontificio (1631) non si verificarono sostanziali variazioni di tendenza nei modi di intervenire sulla città, almeno fino al terzo decennio del Settecento, epoca in cui cominciò ad avvertirsi nella città una tenue eco della politica riformista intrapresa da Clemente XII. Si svilupparono così alcune importanti iniziative volte a restaurare la città, a dotarla di nuovi servizi ed a razionalizzare l'apparato amministrativo. Accanto ad un primo piano di pavimentazione e di manutenzione stradale, si registra la costruzione di importanti opere pubbliche quali l'Ospedale in piazza del Mercato (oggi Piazza Quaranta Martiri), il Seminario (che successivamente avrebbe accolto anche le scuole pubbliche) ed il Teatro. In campo amministrativo l'iniziativa più importante riguarda, invece, l'elaborazione di un nuovo catasto. L'Opera, concepita all'interno di un più vasto piano di rinnovamento dei catasti dello Stato Pontificio, venne affidata a Giuseppe Maria Ghelli nel 1759 e realizzata entro il 1768. Queste iniziative settecentesche ebbero un seguito adeguato nell'Ottocento, con significativi interventi nelle architetture di Piazza Grande, oggi Piazza della Signoria. Venne demolito il porticato che collegava i due palazzi lungo il margine della piazza pensile; il prospetto dei due corpi di fabbrica del Palazzo del Podestà (originariamente scandito da un semplice porticato), venne occultato da una debole facciata in mattoni; le Case dei Ranghiasci (già Galeotti), che occupavano il lato lungo della Piazza, vennero unificate da una nuova facciata, cui, tuttavia, va riconosciuta una sicura rappresentatività nel panorama dell'architettura italiana di derivazione neoclassica. Dopo l'unità d'Italia inizia una nuova fase di espansione urbana, che finirà per modificare profondamente l'assetto complessivo della città. Prime significative costruzioni extra moenia sono il Mattatoio e la Stazione Ferroviaria: opere di pubblica utilità, correttamente ubicate in aree sufficientemente distanziate dal centro urbano. Il grosso dell'espansione viene comunque realizzato nella seconda metà di questo secolo: epoca in cui si definisce una periferia urbana priva di qualità particolari, che si estende in maniera indifferenziata a mezzogiorno della città, nella piana, dissolvendo l'immagine della cinta muraria medievale.





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